Ugo Foscolo - Opera Omnia >>  La giustizia e la pietà




 

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CANTO PRIMO

      Quando l'Eterno passeggiò col guardo
tutto il creato, diffondendo intomo
riso di pace, e fiammeggiar si vide
ne' cieli il Sole, e rotear le stelle
dietro la dolce–radiante Luna
tra il fresco vel di solitària notte,
e germogliò natura, e al grigio capo
degli altissimi monti alberi eccelsi
pero corona, e. orrisonando udissi
l'ampio padre Oceàn fremer da lungi:
sin da quel giorno d'aquilon sui vanni
scese Giustizia, e i fulmini guizzando
al fianco le strideano, i dispersi
crini eran cinti d'abbaglianti lampi.
In alto assisa vide ergersi il fumo
d'innocuo sangue, che fraterna mano
invida sparse, e dagli vacui abissi
a tracannarlo, e tingersi le guance
Morte ansante lanciossi: immerse allora
la dea nel sangue il brando, e a far vendetta
piombò sull'orbe, che tacque e crollò.
Ma fra le colpe di natura infame,
brutta d'orrore la tremenda dea
si fé' nel viso, e 'l lagrimato manto
e le aggruppate chiome ad ogni scossa
grondavan sangue, e fra gemiti ed ululi
s'udia l'inferno e la potenza eterna
bestemmiando invocati. — A un tratto sparve
contaminata la Giustizia fera,
e al sozzo pondo dell'umane colpe
le sue immense bilance cigolare;
balzò l'una alle sfere, e l'altra cadde
inabissata nel tartareo centrò.

      L'Onnipossente dal più eccelso giro
della sua gloria, d'onde tutto move,
udì le strida del percosso mondo,
e al ciel lanciarsi la ministra eterna
vide: accennò la fronte, e le soavi
arpe angeliche tacquero; e la faccia
prostrare i cherubini, e 'l firmamento
squassato s'incurvò. — Verrà quel giorno,
verrà quel giorno, disse Dio, che all'aere
ondeggeranno quasi lievi paglie
l'audaci moli; le turrite cime,
d'un astro allo strisciar, cenere e fumo
saranno a un tratto; tentennar vedrassi
orrisonante la sferrata terra,
che stritolata piomberà nel lembo
d'antiqua notte, fra le cui tenèbre
e Luna e Sol staran confusi e muti;
negro e sanguigno bollirà furente
lo spumante Oceàn, rigurgitando
dall'imo ventre polve e fracid'ossa,
che al rintronar di rantolosa tuba
rivestiran lor salma, e quai giganti
vedransi passeggiar sulle mine
de' globi inabissati! E morte e nulla
tutto sarà: precederammi il foco,
fia mio soglio Giustizia, e fianmi ancelle,
armate il braccio ed infiammate il volto,
Ira e Paura! — Ma Pietà sul mondo
scenda sino a quel giorno, e di tremenda
Giustizia fermi l'instancabil brando.
Disse; e Pietà dei Serafin tra mille
voci di gaudio, dell'Eterno al trono
le ginocchia piegò: stese la palma
il Re dei re su la chinata testa,
e l'unse del suo amor. Udissi allora
spontaneamente volteggiar po' cieli
inno sacro a Pietà: m'udite attenti
e terra e mare; e canterò; m'udite,
che questo è un inno che dal ciel discende.

Coro

Candida al par di neve, e pura e bella
siccome raggio di lucente aurora,
o del trono di Dio splendida ancella.

Semicoro

E quanto il Sole l'universo indora,
tanto col guardo tuo tu bèi Natura,
che da lungi ti sente, e che t'adora.

Coro

Candida al par di neve, e dolce e pura
siccome raggio d'aspettata aurora,
che il velo rompe della notte oscura.

Semicoro

O dell'eterno amore eterna suora,
tua mano tutto colorisce e molce,
e Dio intanto ti guarda, e s'innamora.

Coro

Candida al par di neve, e fresca e dolce
siccome raggio di novella aurora,
che drizza i fiori, li ravviva, e folce.

Semicoro

Scendi tu rapida, scendi sul mondo,
stendi pietosa le braccia, e a' miseri
tergi le lagrime col crine biondo.

Tutti

Scendi tu rapida, scendi sul mondo.

All'arpeggiar di mille aurate cetre,
all'inneggiar di mille Angeli, e mille
spirti di Paradiso, erse la fronte
Pietà, la bella fra le belle dive,
che sotto Paltò padiglion del Sole
fanno sgabello dell'Immenso al trono;
erse la fronte, e su leggera nube,
cui fra colori candidi e rosati
trapelan raggi di beltà celeste,
scese sul mondo: al suo passar di doppia
luce brillar le mattutine stelle,
al suo passar piobbero fiori intorno,
e l'aer, che vide quel beato riso,
con zeffiri giocondi le rispose.
Girò lo sguardo, e di mortali eletti
vide uno stuolo; e il manto ampio di tergo
si scinse, e diello a quei che temprar sanno
con pietade giustizia; indi rivolse,
poiché sorrise su la mesta terra,
l'alata nube ver l'empireo volte,
il suo ricovrator manto lasciando.

Fine del Canto Primo.


CANTO SECONDO

      O beato colui, che il sacro manto
di pietà stende, ed il sudor non terge
dalla stanca sua fronte, onde in soave
obblio sopire l'infinite angosce
dell'infelice umanità! Beato
tré e quattro volte! e te beato, o memmo,
ANGELO in terra, che nel sangue mai
tingesti il ferro, che a tua man commise
Giustizia dura, pria che il dolce labbro
della Pietà nel generoso petto
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
con accenti caldissimi, sublimi
a prò dell'uom, che di non visti casi
tratto è dall'urto a involontarie colpe.
Te la più bella fra le belle dive,
Pietà, nel giorno che gl'illirj campi
in maestà calcasti, e passeggiava
a te dinanzi colla spada in alto
Giustizia fera, te Pietà clemente
seguì di retro, e benedì tua destra
il villanello, che sui pingui colti
con l'innocente famigliuola il grano
a' rigidi apprestava boreali
giorni del verno; e il pescator stillante
dalle lacere vesti, e dalle fredde
Membra marine gocce accolte in ghiaccio
dalFimpetrita sabbia, inni ed evviva
a te lanciava, e a tua pietà! S'udirò,
quando partisti, lamentose e sole
errar le ninfe, dell'illiria terra
presidi eteme, e di memmo, e di memmo
gir ripetendo fra sospiri il nome;
e per più giorni impietosita l'Eco
MEMMO d'intorno rispondeva MEMMO.

      Te accompagnò Pietà quando volgesti
leggiadramente alteramente un tempo
per le cerulee splendidissim'onde
dell'Ionio soggetto aurata nave
cinta di quercia; su l'eccelsa prora
stea tua fortuna, ed al governo attento
presiedeva il tuo fato, augusto fato
da Dio scolpito nell'eterno libro:
Zeffiro fra le vele agili piume
spiegava, e 'l crin della superba testa
del tuo Leon, che ti ruggiva al fianco,
scuotea passando. Di trofei ricinta
te Corcira adorò; d'Itaca i solchi
al tuo apparire germinare offrendo
a te raro tributo; e Cefalene
ancor ne serba la memoria dolce.
Ma Pietà tacque, e tuonasti vendetta
decretata già in ciel, quando alle ricche
zacintie spiagge tu lanciasti un guardo.
Tremaro. — Ahi come abbandonate e sole
stavan sui freddi talami le meste
consorti cinte dai piangenti figli;
ahi! come il sangue uman sparso dall'uomo
scorreva a rivi! ahi! come in man del ladro
era la lance di giustizia, e come
tutto era notte, tempesta, spavento.
Ma tu sorgesti, e il lutto sparve: ancora,
al memmio nome, l'omicida infame
getta il pugnale, ed all'aratro toma;
onde sien carchi di Britannia i pini,
del dolce frutto di Zacinto onore.

      Ma te richiama, e tua pietà, la mite
città di Clodio, e tu rimetti, il brando
nella vagina, e col soave manto
della pietà per le contrade umili
passi e sorridi; e si rallegra il retto
popolo industre, che di frutta e fiori,
e di coralli, e di crostacei t'offre
pieni canestri, e le navali moli
t'addita al guardo, che dal genio erette
di non superbo artefice, vedransi
dovizìanti, e d'ampie merci onuste
un giorno forse primeggiar sui mari.

      Quando il Settentrìon l'onde solleva,
quando sul lido la procella mugge,
e notte casca sul turbato mondo,
quante s'ingoia, oimè! vittime umane
l'irato mare; quante disperdendo
vane querele nell'ìante bocca
soffoca il nome di padre e di figli,
che senza scorta il navigante invano
drizza le vele, ed il timon governa
tra il calcato notturno immenso orrore.
Ma di te, padre di tua grata gente,
Angel sublime, eITè opra (di te degna)
la somma lampa che s'estolle, e annunzia
di MEMMO il vanto sul marmoreo ponte,
che innanzi alla città tutto il mar guarda.
Oh! quante volte il liberato amico
baciar vedrassi su quel ponte; oh quante
di benedizìon tenere voci
s'udranno sparse a te; quante corone
su la memore lapide sacrate,
poiché tu scorta a' naviganti ergesti,
e bastò MEMMO gl'implacati flutti
deluder solo, ed il furor dei venti.

      Pera colui, che il popolar diritto
infranse primo, e calpestò la plebe
schiava, già donna di sé stessa e d'altri.
Tu, MEMMO augusto, dal suo vile fango
l'alzasti, e i dritti antiqui ormai scordati
tu le rendesti, e di Pietà fu voce
Mista a Giustizia; e in te l'orgoglio tacque,
che prepotente di chi regna, siede
sul soglio, e spegne di virtù la face;
e tu mostrasti alla clodiense gente,
che mal s'accorda con virtù l'orgoglio.

      Del giudizio final suoni la tromba,
e l'Eterno discenda; innanzi al santo
giudice tremendissimo trarranti
e Giustizia e Pietà: quest'è 'l ministro,
diran, sacro a noi sole. Focheggeranno
gli angeli tutti, e su le candid'ali
fra plausi etemi recheran tuo spirto
nell'increata inenarrabil luce.



EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Ugo Foscolo - Opere - Tomo I", edizione diretta da Franco Gavazzeni, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1974







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