Ugo Foscolo - Opera Omnia >>  Orazione a Bonaparte pel Congresso di Lione




 

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'H δ' εμη
ψυχη πολιν τε χαμε χαι σ' δμου στενει.
SOFOCLE, Edipo re, sc. I.


*

A' CITTADINI
SOMMARIVA E RUGA
MEMBRI DEL COMITATO DI GOVERNO
DELLA REPUBBLICA CISALPINA


UGO FOSCOLO

NE' tempi licenziosi o tirannici i governi sono sempre ubbriachi di lodi e sempre di lodi assetati; e poiché tali (pur troppo!) sono i nostri tempi, grande argomento vi porgo della mia estimazione intitolandovi una operetta che le passate descrivendo e le presenti sciagure, tutte le speranze ripone nell'avvenire. Mi avete reputato degno di scrivere il vero a Bonaparte, ed io, riconoscente, vi reputo capaci di confermarlo con la vostra autorità. Non é di voi colpa ma del vostro potere se bassi adulatori vi accerchiano; ma è certo egregio esempio di forte animo in voi se sviluppandovi dalle brighe di que' tristi, trasceglieste a tanta opera un uomo di mezzano ingegno, ma di alto cuore, non mai domato né da' beneficii, né dalle ingiurie. Salute.

Milano; 7 gennaio, 1802.


ORAZIONE A BONAPARTE


I

Perché da coloro che nelle terre cisalpine tengono la somma delle cose mi venne imposto di laudarti in nome del popolo, e di erigerti, per quanto può la voce di giovine e non affatto libero scrittore, un monumento di riconoscenza che a' posteri attesti BONAPARTE ISTITUTORE DELLA REPUBBLICA CISALPINA, io quantunque del mio ingegno, e de' tempi or licenziosi or tirannici diffidente, ma pieno dell'alto soggetto, e del furore di gloria (furore che tutte le sublimi anime hanno comune con te) e inflammato dal patrio amore e dal voto di sacrificarmi alla verità, volentieri tanta impresa mi assunsi, sperando di trarla almeno in parte al suo fine, non con la disciplina dello stile, né con la magnificenza degli encomi, ma liberamente parlando al grandissimo de' mortali. Ch'io per laudarti non dirò che la verità; e per procacciarmi la fede delle nazioni parlerò come uomo che nulla teme e nulla spera dalla tua possanza, volgendomi a te con la fiducia della mia onestà e della tua virtù, appunto come le dive anime di Catone e di que' grandi si volgeano alla suprema mente di Giove. E intatta fonte di gloria per te reputo lo scoprirti le piaghe tutte, che per colpa della fortuna, per la prepotenza e rapacità della conquista, per l'avarizia ed ignoranza de' governanti gran tempo afflissero, e affliggono or fieramente queste misere provincie d'Italia, onde tu risanandole con la forte tua mano immenso si accresca e non più veduto splendore al tuo nome.



II

CHE s'io ti appello ricuperator di Tolone, fulminatore di eserciti, conquistatore dell'Italia e dell'Egitto, redentore della Francia, terror de' tiranni e de' demagoghi, Marte di Marengo, signore della vittoria e della fortuna, amico alle sacre muse, cultore delle scienze, profondissimo conoscitore degli uomini, e (quel che ogni merito avanza) pacificatore d'Europa; non odo io prima di me tutti i popoli viventi acclamarti con questi nomi? non vedo la storia che a traverso delle generazioni e de' secoli eterna i tuoi fatti? E nel solo nomarti ricorrono al pensiero senza che altri affetti di ricantarli; ché inetto panegirista e quasi sordido adulatore stimo colui il quale verbosamente magnifica cose belle e altissime per. se stesse e a verun uomo nascoste. E d'altra parte a ciascuna delle tue imprese le passate età contrappongono or Alessandro guerriero onnipotente, or Cesare dittatore magnanimo, or Augusto pacifico signore del mondo, or Alfredo padre dell'Inghilterra; e alla fortuna ed ai trionfi i recenti anni ti associano gl'incliti nomi di Moreau e di Massena. A ciascuno de' tuoi pregi la storia contrappone e Tiberio solenne politico, e Marco Aurelio imperadore filosofo, e Papa Leone X ospite delle lettere. Che se molti di questi sommi scarchi non vanno di delitti, uomini e mortali erano come sei tu, e non le speranze o il tremore de' contemporanei, ma la imperterrita posterità le lor sentenze scriveva su la lor sepoltura. Infiniti ed illustri esempi hanno santificata omai quella massima de' sapienti: Niun uomo doversi virtuoso predicare e beato anzi la morte.



III

TE dunque, o Bonaparte, nomerò con inaudito titolo LIBERATORE DI POPOLI E FONDATORE DI REPUBBLICA. Così tu alto, solo, immortale dominerai l'eternità, pari agli altri grandi e nelle gesta e ne' meriti, ma a niuno comparabile nella intrapresa di fondare nazioni: perocché Tesèo e Romolo istituendo popoli, istituirono per se stessi tirannidi; e il divo Licurgo e Bruto il primo romano per le proprie patrie, e non per beneficenza all'umano genere, maestri si feano di libertà. Ma tanto titolo or da te più meritato, che acquetata la tempesta delle fazioni, convocasti in Lione i primati di tutte le classi cittadinesche della Cisalpina;

VICTORQUE VOLENTES
PER POPULOS DAS IURA:

sì! a te invincibile Capitano, a te Legislatore filosofo, a te Principe cittadino tanto titolo al cospetto dell'Europa e delle universe genti future tornerà a sanguinosissima ingiuria, ove questa repubblica, quantunque figlia del tuo valore e del tuo senno, continui a rimanere ludibrio di ladri proconsoli, di petulanti cittadini, e di pallidi magistrati. Non tanti forse sacrilegi tentarono, non tanto oro ed umano sangue i druidi di tutte le età e di tutte le religioni impiamente beveano in nome del Dio ottimo massimo, padre e benefattore degli uomini, di quante scelleraggini compiacquero la sitibonda loro anima i tuoi ministri, i quali profanando il tuo nome, te faceano con disperato gemito invocare dall'agricoltore fuggiasco da' suoi campi, dal denudato mercante, da' tribunali vilipesi o atterriti, e dal padre che alimentava di lagrime i suoi figliuoli, i quali invano domandavan del pane.

Ma perch'io voto declamatore non sembri procederò storicamente, mostrando corrotti sino ad oggi in questa repubblica i tre elementi di ogni politica società; Leggi, Armi, Costumi. Applaudiranno allo schietto mio dire tutti gli animosi veri italiani, applaudiranno con bellicoso clamore gli ardenti giovani cisalpini, e i sospiri delle madri e delle spose, e i voti de' pochi ottimi magistrati, e gl'inni de' sacerdoti, e le speranze degl'infelici, e la santa giustizia e la virtù contaminate e vendute, e le dolorose ombre di coloro che dalle ribellioni, dalla disperazione e dalla fame furono al caro lume della vita rapiti. Ed applaudirà la tua grande anima, non solo perch'io t'addito quanto manca ad adempiere il tuo benefico e glorioso concetto, ma assai più perché i secoli ai i secoli potranno asserire: Bonaparte fu principe quando fieri e nobili spiriti non temeano di dire la verità a lui che non temea di ascoltarla.



IV

QUELLA è inutile e perniciosa costituzione che fondata non sia su la natura, le arti, le forze e gli usi del popolo costituito, e che sfrenando l'arbitrio dell'erario, della milizia e delle cariche alla potestà esecutiva, appena a' legislatori concede l'ambizione del nome, il furore delle ringhiere, e la dimenticata o delusa sanzione di opposte innumerabili leggi. Eppure tale si fu la costituzione onde tu per decreto del Direttorio francese nome davi e diritto alla nostra repubblica; e la tua mente presagiva forse le nostre disavventure, e gemevi nel generoso tuo cuore aspettando tempo di vendicarne. Ben hai dato a divedere a' tuoi salvi concittadini e all'attonito mondo quanto mortali quelle leggi riuscissero; poiché con quelle, ordinata essendo la Francia, ove dalla ardimentosa tua dittatura non venivano di repente annientate, certo che gl'infausti, destini della Polonia sovrastavano la vincitrice di tante nazioni. E sa quanta più obbrobriosa rovina non dovevano strascinare noi, non riuniti, ma legati; non armati, ma; atterriþi dalle armi; non fatti dotti, ma insaniti per le sanguinose vostre rivoluzioni? E a che mani d'altronde e a quale senato. vennero queste fondamentali leggi commesse? Tacerò le controversie ond'erano faziosi e tumultuanti i consigli legislativi; e gli oratori mercatanti de' proprii suffragi, e la ridicola arroganza de' molti che ignari pur dianzi del come e del perché obbedivano, e proni, quando che fosse, a obbedire, scienza e coraggio affettavano di libertà; e le gare territoriali, e i decreti «circa l'annona e le tenute pubbliche estorti da que' legislatori a cui libertà, gloria, patria essendo il proprio utile fra la fame e le imprecazioni del popolo, ratto sursero, opulentissimi. Tacerò l'audace povertà degli uni domata da' beneficii del direttorio, e l'ambizione de' ricchi dallo splendore delle cariche... e tutto oro, briga, tremore! E tacerò la generale ignoranza di queste assemblee; imperciocché que' rari egregi nelle arti e nelle scienze, e che in tanta malvagità illibata fama d'ingegno e di costumi serbavano, ignudi al tutto erano della feroce fortezza e della sapienza necessarie, ad ordinate, gli stati, ma escluse, dal sacro ozio delle lor discipline e dalla semplicità dell'antico loro istituto. O Italiani! nel recente senato che Consulta legislativa appellavasi, il gentile, magnifico, armonioso nostro idioma che primiero dalla notte della barbarie destò le vergini musa e le arti belle e le lettere, adulterato; per gran tempo stolidamente e servilmente ne' pubblici editti, fu, indi interamente pelle adunanze di que'senatori obbliato, e dai pochi patrii affari in linguaggio straniero disputandosi, tutto era quindi manomesso dai pochi, sebbene apparentemente sancito; dalla indolente e,paurosa ignoranza dei più: Non ch' io m' arroghi, o Bonaparte, di dannare le tue elezioni: ché né sapevi, né potevi a un tratto conoscere chi atto era a governare, né li avresti sì agevolmente trovati; perché i forti e saggi italiani sapeano non donarsi, ma conquistarsi la libertà, e sdegnosi quindi di essere stromento dello straniero celavansi. E poni che le nostre leggi opra fosser di un Dio, e gli esecutori santissimi, il Senato Romano quantunque pieno ancora di personaggi e per prosapia, e per dovizie, e per trionfi, e per virtù, e per possanza cospicui, e ognun di essi primate del mondo, che potea più quando non la giustizia e le avite leggi, ma gli eserciti comandavano? né eserciti erano stranieri. Nomi furono i nostri corpi legislativi, i tribunali e i governi ignudi nomi; e mentre il sangue della vostra nazione ci redimea dalle catene, lo scettro de' capitani e de' proconsoli francesi il cisalpino popolo flagellava. Dove eri tu, o Liberatore, quando assediato di armati il Consiglio de' Seniori fu astretto a scrivere la sentenza capitale della repubblica, ratificando il Trattato d'alleanza perfidamente dai cinque despoti imposto: imperciocché non accettato ci tornava nell'infame e lagrimevole stato di conquistati; e accettato, ci avrebbe per la calcolata impossibilità di lungamente attenerlo proclamati all'universo sconoscenti e sleali infrattori de' patti, e ricondotti a un palese meritato servaggio? Dove eri tu, quando Trouvé e Riveau conculcato il gius delle genti, di ambasciatori si convertirono in despoti, forzando i principi, legislatori e magistrati a giurare solennemente un'altra costituzione, solennemente la tua spergiurando 1. ben dissi principi, legislatori e magistrati; poiché il popolo e le nuove leggi e i nuovi invasori altamente sdegnava. Fra l'universo fremito intanto della schernita maestà popolare, fra le proteste magnanime de' pochi imperterriti e santamente tenaci legislatori a viva forza dai loro seggi strappati, sfrontatamente in pubblico nome si decretò una costituzione per origine, illegale; per gli modi onde fu imposta, tirannica; pel recente esempio dell'altra, inobbedita; e per la venalità e bassezza de' suoi spergiuri esecutori, derisa. Te allora lungi d'Italia teneano i mari incliti per le tue vittorie, e la fama e la fortuna comandando agli elementi, e precorrendo le tue navi cospiravano con la politica de' tiranni che a remote, inutili forse, e (tranne Bonaparte) per tutt'uomo mortali imprese t'affaticavano per maturare sicuramente la servitù della Francia, e l'irredimibile traffico della nostra patria infelice. Avresti nella Cisalpina veduto giudici inesorabili, capitali sentenze, non penale statuto; enormi censi, decretate estorsioni, non pubblico erario; inculcato in somma il dovere del giusto, ma patentemente consecrato il diritto della scelleraggine. Men duro è l'avere pessime leggi, anziché averne niuna; ché nelle città senza leggi scalzati dal trono i pochi guasti, o avari, o imbelli tiranni, ma pur pochi sempre e sempre quindi tremanti, siede e regna la orrenda multiforme tirannide della plebe. Memoranda fede di questa sentenza ne diè la Francia quando tutti al potere nuotavano per mari di sangue. Brevi nulladimeno della moltitudine sono gl'imperi, sempre dalla stessa immensa lor mole precipitati, e dalle sostenute burrasche sovente esperienza si ricava e salute. E però il fierissimo di tutti gli stati fu veramente ed è questo delle città cisalpine, dove una diuturna straniera armata autorità, chiamandole libere per non imporre leggi, tutte le leggi rompe e niuna ne impone; onde tutte così assumendo le sembianze, tutti usurpando i poteri, tutti i cittadini opprimendo, tutte invadendo le cose, tutti i vituperii addossandoci e i danni, può pienamente ed impunemente signoreggiare.



V

E quando ottime, eterne fosser le leggi, nulle per noi tornerebbero senza la milizia, principio, sicurezza ed ingrandimento degli stati; però niun'arte permetteva a' Lacedemoni il divo Licurgo, che appartenente alla guerra non fosse. Ben tu sul tuo dipartire alla nostra salute provvedendo principale consiglio a noi davi, le armi; né disperse andavan tue voci, ché anime italiane sopite sì ma non morte percoteano, e a grandi fatti dal tuo esempio spronate, e dalle avite, gloriose, incalzanti memorie, armi armi i giovinetti esclamavano, e di armi era splendida e forte in que' giorni la repubblica tutta. Salutare veracemente fu quella istituzione che, tutti armando i cittadini a non compre mani ed a petti amorosi affidava la quiete delle città, assuefacendoli a un tempo alle arti guerresche, all'ardore di gloria ed alla santa carità per la patria; onde e spada erano della giustizia contro a' malvagi, e scudo di libertà contro a' tiranni domestici, ed inespugnabili mura per gli esterni nemici. Ma dopo non molto coloro che slealmente maneggiavano le cose, impalliditi al cospetto della forza popolare, e con dissidii e con vilipendii e con denaro strozzarono sul nascere quest'Ercole vendicatore, che ove fosse robustamente cresciuto, avria la repubblica dalle ladre e tremanti lor mani ritolta. Né giova dissimulare che male avrebbero tanta scelleraggine consumata, se istigamenti, comandi ed aiuti non scendeano dalle alpi; perché questa repubblica (quando forte, indipendente, vera repubblica stata fosse) potentissimo inciampo sorgeva a' tradimenti e all'orgoglio del Direttorio francese. Perciò custodite e assediate quasi da innumerabili schiere confederate ammutirono le città impoverite pel mantenimento di non proprii eserciti, e dal brando de' generali e commessari arbitrariamente disanguate. Voi soli vedemmo, o soldati francesi, voi di eroiche virtù liberali e di sangue, voi dalle ferite, dalla fame, dai lunghi viaggi, e da tutte le fiere necessità della guerra consunti, e molto più dalla ingordigia ed ingratitudine dei condottieri, voi soli vedemmo piangere al nostro pianto, e chiamar Bonaparte che tanti trofei aveva eretti in Italia per comperare la vostra miseria, la infamia della vostra nazione, e la ignominiosa servitù de' vostri alleati.

Una larva frattanto di milizia, se nazionale o mercenaria non so, fu soldata d'uomini non per legge deletti né per età, ma o disertori de' principati confinanti, o fuorusciti a' quali non restava che vendere il corpo e l'anima, o prigioni alemanni dallo squallore convinti e dalla forza e dalla disperazione delle lontane case natie. Tale fu sempre, se pochi ne soevri, la universalità de' soldati gregari che deserta avrebbono insanguinata ed arsa la repubblica, dove. tutti i disagi durando, né patria, né sostanze, né congiunti, né amici, né altari, né onore difendevano: se non che e per la. brevità del tempo, e per le rade legioni, e per le perpetue fatiche, e per lo zelo de' pochi patrii capitani, e per la divozione al tuo nome gli effetti di queste armi si ritorsero soltanto nell'esaurimento dell'erario, con che gl'infiniti questori tripudiando, nudo, non pasciuto, e col diritto quindi al misfatto sudava l'infelice soldato. Nè si presuma che i tanti ufficiali francesi ridottisi a questi stipendi, grande, onore o eccitamento recassero; ché colui il quale dalle vittrici gloriose libere insegne rifugge della propria repubblica, scarsa laude può mercare e dalla patria ch'egli abbandona, e da quella che elegge. Quindi la militare licenza, i delitti e le pene della fame, il furore, l'arti e la impunità della rapina, le devastazioni le gli omicidii nelle terre, le reciproche ire de' cittadini e della milizia, gl'immensi dispendii, e la niuna difesa della repubblica. E quand'anche armi cotali a somma forza giungessero, tremendo, certo, e da più gente esperimentato sorgerebbe a un tempo il pericolo che gli ambiziosi capitani dalla dappocaggine de' magistrati, dal silenzio d'inermi leggi, da' neghittosi odii de' cittadini, dalle servili speranze de' soldati validi mezzi traessero per occupare tirannescamente lo stato.

Che se taluno perciò insultando alla fortuna da tanti secoli avversa agli Italiani osasse chiamarci degeneri da' nostri avi, ed incapaci di ridivenire popolo indipendente e marziale; oh! sorgete voi Italiani caduti nelle battaglie quando Scherer tante concittadine anime perdendo, pieno de' vostri cadaveri facea scorrere l'Adige, che fuggente dalle sponde indifese all'Adria addolorata e sdegnosa portava sangue venduto. Gridate voi morti nelle valli di Trebbia sempre all'armi libere infausta, ove ora con voi infinite ombre di guerrieri francesi fremono fra gl'insepolti Romani al nome del secondo Annibale; né dalla vendetta che rapida col terrore e con la sconfitta lo incalzò negli elvetici monti sono ancora placate. E voi che da' riouperati colli di Genova accompagnaste alle sedi degli Eroi lo spirito di Giuseppe Fantuzzi, gridate voi tutti! Forti, terribili, e a libera morte devoti furono i nostri petti; benché pochi, ignudi, e spregiati. Stanno ancora i vessilli tolti a' nemici dall'ardita gioventù bolognese, che né da legge né da stipendi costretta, e terre e città redimes da' ribelli. Stanno i trofei del Tirolo e della Toscana dedicati dagli Italiani agli auguri della vittoria di cui Bonaparte ha pieni e l'Italia, e il Tirreno, e l'Egitto. E chi potea vincere genti che con te e per te combattevano, e a' quali tu la virtù, e la fortuna, e l'audacia spiravi! Ma vivrai tu eterno?



VI

INCOMINCIANO ad inasprirsi più atrocemente le nostre ferite, e dell'inglorioso mi accorgo tristissimo assunto, e incerte sento le forze, ora che tutti mi si schierano innanzi gl'imperanti costumi originati dalle vecchie, putride, profondissime ulcere del servaggio, le quali rinsanguinate nel bollore delle rivoluluzioni, e più e più con le scatenate passioni estendendosi, quasi i più sani corpi ghanno guasti, ed infetta la divina libertà. E per onta nostra maggiore non espulsi tiranni, non principi uccisi, non sedizioni, non varia illustre fortuna di vittorie e sconfitte; bensì oalunnie, concussioni, adulterii, adulatori, spie, discordie, raggiri, avarizia, stoltezza; non ardui delitti insomma, ma vizii; né continui, ma per la stessa bassezza d'animo ed intermessi e riassunti. Sobriamente quindi, o Consolo, e per la tua dignità, e per la riverenza alla patria, dirò cose da me più volentieri ne' profondi del dolente mio petto sepolte, ove l'esportele non fosse d'espresso utile a noi, e di gloria per te. Nè parlerò della privata scostumatezza, né de' popolari difetti, né del dissipamento recato dagli eserciti; taccie essendo queste comuni per tutte forse le città dell'Europa, e mali talor necessari e oerto irreparabili, perché naturali al corso de' tempi e delle nazioni, e voluti dall'universale ordine delle cose. Il perché dirò dei costumi o insiti nel governo, o dal governo scaturiti, i quali quando ardono e regnano, se guasti corrompono la nazione, se ottimi la risanano.

Uomini nuovi ci governavano per educazione né politici, né guerrieri (essenziali doti ne' capi delle repubbliche); antichi schiavi, novelli titanni, schiavi pur sempre di se stessi e delle circostanze che né sapeano né voleano domare; fra i pericoli e l'amor del potere ondeggianti, tutto perplessamente operavano; regia autorità era in essi, ma per inopia di coraggio e, d'ingegno né violenti né astuti; consci de' proprii vizii e quindi diffidenti, discordi, addossantisi scambievoli vituperii; datori di cariche e palpati, non temuti; alla plebe esosi come potenti, e come imbecilli, spregiati; convennero con iattanza di pubblico bene e libidine di primeggiare, ma né pensiero pure di onore; vili con gli audaci, audaci coi vili spegneano le accuse coi beneficii, e le querele con le minacce; e per la sempre imminente rovina di oro puntellati con la fortuna, di brighe con i proconsoli, e di tradimenti con i principi stranieri. Nella povertà dell'erario, nelle lagrime delle città, nelle protette concussioni,. unica, perpetua, e troppo forse creduta discolpa secretamente vociferavano: « doversi alla spada straniera obbedire, e per. sommi danni soltanto ricomperarsi lo stato ». Perfidi! Cotanti, e sì ampli, e sì profondi moltiplicavansi i danni, che per voi non di presta e generosa morte, ma di lenta agonia obbrobriosamente la reliubblica intera periva. Forzati.invero talora voi foste, ma voi stessi il più delle volte volevate Li forza; ché né umana né divina possanza può mai costringere a delitti chi alla salute della. patria e al proprio onore fortemente e lealmente la sua vita consacra. Irrompevano i Galli vittoriosi nel Campidoglio, dove tutti i Romani validi alle armi s'erano rifuggiti alla estrema difesa; mentre i fanciulli, e le madri, e le vergini, e le imbelli turbe, e le vestali, e le matrone fuggivano. Ma i sacerdoti degli Dei e i vecchii consolari e di trionfi insigniti, perché malfermi si sentissero a combattere, non per tanto sostennero di abbandonare la città, ma ornati delle luminose e trionfali lor vestimenta votarono se medesimi alla patria, e seduti nel foro sopra sedie di avorio aspettavano tranquillamente la sovrastante fortuna. Brenno, invasa Roma ed assediato il CampidogÏio, scese nel foro, e ristette al magnifico e portentoso spettacolo di que' personaggi che senza far motto, né rizzarsi, né mutare aspetto, al venir de' nemici, immoti sedeano ed intrepidi, appoggiati a' bastoni, e guardandosi vicendevolmente l'un l'altro. Da divino quasi stupore a, tal vista percossi i Galli, per gran tempo né toccarli ardivano né approssimarsi, reputandoli più che uomini. Quando poi uno di loro fatto animo accostatosi a Manio Papirio, placidamente gli toccò il mento, strisciandogli la mano giù per la barba, Papirio lo percosse col bastone e gli ruppe il capo; onde il barbaro. sguainata la spada lo uccise; e quindi impetuosamente gli altri soldati consumarono la strage di que' venerandi romani, che d'onorare sdegnavano il trionfo de' conquistatori con impotenti insulti, o, con servili preghiere. Che se tanta fortezza non v'era dato, o principi Cisalpini, di emulare, niuno vi contendes di tornare privati, alla Francia ed al mondo gridando: che disperata essendo la patria, veruno italiano soffriva di amministrare la comune sciagura. E ben esempio ne porsero que' due del Direttorio che generosamente; impugnarono il trattato di alleanza, e que' pochi legislatori fedeli al giuramento. Ma gli accusatori, i testimoni ed i giudici de' vostri delitti sono le vostre tante improvvise, malnate ricchezze, onde di poveri e abbietti, superbi oggi andate ed impuni. Sostenere la ingiustizia è da forte, dissimularla è da schiavo; ma ritorcerla a proprio vantaggio, dividendo quasi opime spoglie le vesti de' proprii concittadini, è da bassissimo scellerato.

Dirò io quanti e quali complici intorno a sì fatto governo sudassero? mostri fra il popolo e il trono, peste di tutti, gli Stati e di questo assai più dove molti e vari sono i tiranni, niuno l'assoluto signore. Gente di abbietta fortuna, di: altere brame; codarda e invereconda; al comandare incapace, delle leggi impaziente; ne' fastosi vizii del molle secolo corrotta, e corrompitrice; mercadanti del proprio ingegno, delle mogli, delle sorelle, e della fama, se fama avessero; di tutte fazioni, di niuna patria; barattieri; delatori; citaredi; usurai; delle patrizie angariate famiglie patrocinatori venali, e quindi turcimani delle occulte avanìe de' regnanti; persecutori de' buoni, ma né antici pure a' malvagi, tutto con la cabala e con le servili colpe e con le speranze ingoiando; di matrone e di vergini incettatori, agevole scala alle regali amicizie; prodighi di danaro quasi semenza in letame;... orribile mistura e di vizi e di nomi e di vituperi; ed al secolo infamia, ed alla terra che li sostenne!... ma necessario stromento alle scelleraggini del governo, e alla tirannide degli invasori. E taluni, armati di tutte arti, dittatori anche delle lettere siedono; onde, dalle cisalpine università esiliate veniano la greca e la latina lingua, e le nïuse meretrici di ciurmadori, e i supremi ingegni depressi, e da' licei gli antichi professori cacciati da chi surse maestro di scienza dii cui non fu discepolo mai; specchio a' dotti uomini che (franne la gloria) emolumento di lunghe vigilie si aspettano! Nè paghi della persecuzione contro a' viventi, osano con censoria autorità cacciare le mani nelle sepolture di Virgilio e di Orazio e di que' divini poeti, e conturbarne le ossa, predicandoli adulatori d'Augusto, e indegni di liberissime menti... Ahi ciurma! ahi libera nel mal fare! e non ti vegg'io fetida di adulazione e di beneficii, non ammansare con celesti carmi il monarca dell'universo, ma con rimate vandaliche ciance blandire i rimorsi di pochi vacillanti tirannucci; sicché, se modo omai non si muta, e' ci dorrà di essere appellati Italiani. Pompeggiano intanto costoro e ne' tribunali, e, ne' ministeri, e chi segretario de' magistrati e delle legazioni, e chi prefetto nelle città, e chi sopraintendente a' teatri ed agli spettacoli, e chi questore di eserciti, e chi su le cattedre de' licei; esultando tutti fra le deluse speranze di benemeriti cittadini e di magnanimi giovani, che per mostrar di sudori, e di cicatrici, e d'illibati costumi, e di studi non altro mercano che ripulse, per cui fuggendo dalla patria mafrigna con le mani vuote al petto si ascondono. Chè riesce espediente preporre all'erario, all'ambascerie, all'annona, alla interna vigilanza ed alla milizia insufficienti ministri, tutto così impunemente invadendosi dal governo.

E il commercio, magnifica sentenza de' moderni politici, nella repubblica universalmente fioriva, non già nel lusso civile o nello spaccio delle derrate; merce de' trafficatori fu sempre la povertà dello stato, la quale riparata con usure ognor raddoppiate e provocate forse, palliata veniva ed esulcerata ad un tempo, talché ogni debito spento uno più grave ne raccendea; dote le pubbliche sostanze facendosi della infedele astuzia mercantile che spesso, mutati i nomi, i padri della patria arricchiva. Spavento e obbrobrio della umana schiatta è l'efferata stolidità di Caligola quando, chiusi i granai, intimava al popolo romano la fame: ma quell'ardito intelletto che imprenderà gli annali presenti darà a' posteri storia più orrenda; poiché la sterilità della natura e le rapine della guerra, congiurate col monopolio armato dietro al trono la cisalpina plebe affamarono, e le vane strida degli agricoltori, e lo sconsolato compianto delle madri e de' figliuoli morenti, e la disperazione, e le pestilenze sorgenti furon di lucro; onde dalle traspadane rive all'Appennino le montagne e le valli già per lunga fecondità beate, di bestemmie suonano ancora e di gemiti, luttuose per esequie recenti e seminate di umane ossa.

Gli astii provinciali frattanto (armi già di vecchia politica) ora e per forza di destino e per arte straniera bollivano: quindi repubblica questa di norie, ma veramente acefalo corpo di volghi, i quali opposti e nelle leggi e ne' dialetti e nelle monete e negli usi e nello stesso, servaggio, e dalle nuove sciagure più concitati, infaticabilmente per dismembrarsi si dibatteano. Nè le provincie soltanto. Micidiali avversarii i concittadini e i fratelli e gli sposi partivansi in due sètte di nomi stranamente usurpati; aristocratici, patrioti; e tutti intenti al proprio utile fondato su la tenacità delle proprie opinioni, né patria avendo veruna (e chi patria nomerebbe la terra dove il ricco non ha giustizia, il misero non ha pane, e la nazione né leggi, né gloria, né forza?), satellite ciascuno si fea de' confinanti stranieri che con fraudi e con armi si contendeano l'Italia, premio sempre della vittoria! E lorda ciascuna sètta de' proprii suoi vizii, aizzata era una al furore, l'altra alle trame dalla incauta persecuzione contro la religione de' nostri padri, onde i patrioti impudentemente sfrenati, gli aristocratici studiosamente superstiziosi, strascinavano quasi la plebe agl'infernali delitti della licenza, o del fanatismo: la sciagurata plebe dal fato delle cose civili eternamente sentenziata alla ignoranza, al bisogno e alla fatica, e quindi alle colpe e a' tumulti, da niuno spavento. è illusa che delle folgori celesti, da niuno conforto che dalla speranza di un inondo diverso da questo ove mangia il pane bagnato sempre di sudore e di lagrime! Derisi intanto e minacciati e denudati i sacerdoti, fatti miserando e sedizioso spettacolo alle città, i templi distrutti, i profanati altari, le interdette ceremonie, gli atterrati simulacri tacitamente mostravano, e quasi profeti del popolo di Giuda per la cattività di Babilonia gementi, nelle viscere delle famiglie abborrimento inculcavano per la repubblica, la sterminatrice ira vaticinando del Dio vendicatore. Ignota fu. sempre a' nostri reggitori quella sentenza: nori doversi perseguitare le sètte, ma o spegnerle a un tratto sotto la scure, o domarle con l'oro ed avvilirle fomentando i lor vizi, se potenti, e disprezzarle se deboli. Al solo tempo: spetta di rodere le religioni, e alla umana incostanza di farle obbliare; e mal si vorrebbe la natura nostra combattere che le cose spregiate abbandonando, anela sempre alle proibite. Ma i patrioti or delatori, ora sgherri, demagoghi sempre; armati di ridicole insegne, di sediziose dicerie, d'irritanti minacce; avventati contro i sacerdoti, i patrizi, ed il volgo incurioso ed inerme; missionari di rivoluzione e in traccia di martiri non di seguaci, morte e sangue gridavano, feroci di mente mostrandosi, prodi in parole, e ad ogni impresa impotenti; se non che avviluppavano talvolta il.governo che di tutto ignaro e dictutto dubbio ad ogni tavviso della reignante setta inchinavasi; non con vle armi o con :aperte magnanime accuse l'amor patrio sfogavano, ma con libelli, calunnie e clamori; talché di niuno lasciando intatta la fama, fatta era inutile la virtù, perché non creduta, e i veri infami nella comune taccia impuniti. Ben l'avverso partito e per soffocati ribollenti rancori e per onnipotente ricchezza e per prisca autorità di nome e per:insania di religione fremendo, al primo voltar di fortuna, di proscrizioni, di, confische, di esili, di catene, di pianto la misera patria affliggea. E mentre le russe turme e le tedesche con la ubbriachezza della vittoria, la ingordigia della conquista e la rabbia della vendetta desolavano, i nostri campi, contaminavano i letti, insanguinavano le mense, il braccio de' cittadini piantava in:quisizioni e patiboli; onde i padri e gli orfani profughi in Francia ilimosinando di porta in porta la vita sentianosancor più grave l'esilio per la compagnia di sbanditi che asilo implorando di libertà, asilo otteneano a' misfatti; e in tutta Italia egli amicice i congiunti o atterriti o compri al tradimento; e i fanciulli, e le donne, e gli infermi vecchi lapidati; e, frementi d'innocente ululato le carceri; e i pochi,o per virtù, o per scienze, o per sostenute «dignità insigni, e securi, confinati in barbare terre; e Cristo capitano di ribellioni; e da per tutto violamenti, saccheggi, incendi, carnificine!



VII

COSÌ la fortuna e gli uomini e il cielo abbandonata aveano l'Italia; ma ora la Dea Speranza, solo nume fedele agl'infelicissimi mortali, la fine di tanta ira predice, poiché teco, o Bonaparte, in nostro aiuto par che ritornino e la fortuna e gli uomini e il cielo. Onde le gloriose imprese tue trapassando non temo io di laudarti per quelle cose che a pro della repubblica nostra farai: e di che altro mai possiam esserti grati? e che deve aspettarsi la patria da te, da te sangue italiano, fuorché la propria salute? Illustri certo e potenti per la universale viltà, ma né beati né pochi sono i conquistatori e i tiranni; né tu sei tale da aspirare a gloria comune, ed al tuo capo manca ancora l'unico lauro da niun mortale posseduto mai, quello di SALVATORE DE' POPOLI CONQUISTATI. Che se Timoleone quell'uom pari a Dio il radicato servaggio dalla Sicilia spiantò, non fe' però tanto la celeste libertà rifiorire che non tornasse ad allignarvi la tirannide tremenda ancor più per la memoria di que' pochi anni felici che indarno poi quei popoli sospiravano. Non odi tu l'Italia che grida? « Stava l'ombra del mio gran nome in quella città che fondata sul mare grandeggiava secura da tutte le forze mortali, e dove parea che i destini di Roma eterno asilo serbassero alla italica libertà. Il tempo governatore delle terrene vicende, e la politica delle forti nazioni, e forse,gli stessi suoi vizi la rovesciarono; udranno nondimeno le generazioni uscire dalle sue rovine con fremito lamentoso il nome di Bonaparte ». – Ma si ritorcerà questa taccia in tuo elogio, poiché la Storia seduta sopra quelle stesse rovine scriverà: La sorte stava contro l'Italia, e Bonaparte contro la sorte: annientò un'antica repubblica, ma un'altra più grande e più libera ne fondava.

E già veggo rinate nello stato cisalpino quelle leggi per cui Venezia fu un tempo reputata immortale; non leggi licenziose, non mantici agl'incendi della plebe, ma fatale muraglia alla invasione degli ottimati. Correggeranno e la povertà estrema che persuade sempre la schiavitù, e le immani ricchezze scala al trono e alla oligarchia. Uomini siamo pria di essere cittadini, e prepotenti in noi regnano le supreme necessità della natura, ed il furor del potere, onde la famelica moltitudine per la vita vende la libertà, e i pochi opulenti comprano la patria quando tutto può essere comperato dall'oro. Queste due mortali infermità di tutti gli stati liberi allontanarono da' suoi principii la repubblica Veneta, la quale di popolare divenuta aristocratica, col volger degli anni e delle ricchezze a cader venne nelle mani di pochi, ed il governo si fondò nel terrore de' patrizi, nella ignoranza de' cittadini, e nella corruzione squallida della plebe.

Quindi tua prima cura è la giustizia nella quale ogni virtù, ogni possanza ed ogni glorii è riposta, e che sola fa prosperare le pubbliche e le private sostanze. I bisogni più gravi assai dell'entrate, le militari estorsioni, e le infedeltà di chi ne reggeva hanno perduta la pubblica economia, rotta ogni fede, sociale, angariata l'agricoltura vera nostra ricchezza, avvilita la onesta industria, prodotte al sommo le usure, e tutti i cittadini ridotti nemici taciti dello stato. Ma l'allontanamento degli eserciti stranieri, il patibolo agli incliti ladri, l'entrate pareggiate a' bisogni restituiranno l'ordine pubblico, e la fede del governo verso il popolo ricondurrà la reciproca fede ne' cittadini; talché rassicurate veggendosi ciascheduno le proprietà, più certi saranno ad un tempo i sussidi per lo stato, e meno urgenti, meno scarsi e più equi i contratti nel civile commercio, meno avvilite per la celere diffusione e riproduzione dell'oro le derrate e così rianimato il sacro agricoltore, riconfortato lo spavento che tenendo seppellito il danaro affama le arti e fa inutile e disperato il sudore della moltitudine, e finalmente con l'esempio della pubblica onesta corretta la privata scostumatezza e tolta ogni esca alla usura. Nè per me conosco alcun savio italiano, il quale stimi potersi a un tratto da te ordinare per noi una perfetta costituzione: bensì ove le cose della repubblica sieno edificate su la giustizia sì che la universalità goda della riposata e facile vita, per la quale i fieri mortali alla lor solitaria libertà naturale rinunziarono, agevolmente poi la esperienza degli anni, e la natura stessa della nazione cisalpina. compieranno un codice di leggi, prima di che è necessario distorre ogni straniera preponderanza, dar pane alla plebe, e freno alle particolari ricchezze; onde quella divina legge risulti unica forza e Palladio delle repubbliche; L'AMOR DELLA PATRIA.



VIII

ALLORA non più ausiliarie non più mercenarie legioni, non più coorti dalla feccia della plebe, non più perpetui eserciti che nell'esterna pace e nell'abbondanza, interna covano guerra e povertà perenne, non più soldati per arte, soldati nell'ozio, non cittadini nelle battaglie; bensì devoti figli della repubblica difenderanno la patria da cui ricavano gloria, libertà e sicurezza. Ed ecco omai e per mantenere nel vigore del corpo la fortezza dell'animo, e per correggere la effemminatezza de' tempi, e per apprestarsi alle guerre future, la gioventù cisalpina sudare negli esercizi marziali. Te, Bonaparte, invocheremo nelle battaglie, come i romani invocavano Romolo deificato; a te ne' campi della vittoria innalzeremo simulacri ed altari; a te canteranno inni gli eserciti; a te consacreranno ecatombe solenni su le sepolture de' nemici, sopra le quali tu ergesti questa repubblica. Generosa emulazione saremo a tutti gl'Italiani che da noi soli la libertà e lo splendore de' padri nostri giustamente si aspettano; e la militar disciplina, e il rinato valore, e più assai la concordia delle città cisalpine ridesteranno. per tutta Italia le prische virtù, le forti anime, e la riverenza del nome latino che. più delle alpi e dei mari starà schermo immortale all'audacia nemica. E voi figli d'Italia spegnete omai le ire che di principi della terra, vituperosi e smembrati tributari vi han fatto delle vostre provincie. Per la comune patria è da combattere contro a' barbari; a che dunque struggete le vostre forze contro voi stessi? e quando il genio nostro maligno, e gli umani sdegni, e la divina necessità ci tirassero a pugnar fra di noi, combattasi fino alla vittoria, e riserbisi contro a' barbari il combattere fino alla morte. Inveterate, pur troppo, sono le nostre inimicizie! ma che pro il vendicarle? Risorgeranno forse dalle nuove sciagure que' tanti nostri concittadini morti negli esili, nelle carceri e nelle civili battaglie? Riparerete le stragi con le stragi? Racquisterete l'onore, la libertà e la possanza con quelle forsennate arti per le quali li avete perduti? E per chi? Non avete già voi finor combattuto né per gli altari, né per li figli, né per le madri, né per le spose, né per le vostre sacre dimore; non avete voi già combattuto né per le vostre opinioni, né per la vostra gloria, né per le vostre stesse passioni: bensì per fare de' vostri cadaveri fondamento al trono degli stranieri. Oh! dalle mani italiane gronda ancora sangue italiano! e griderà eternamente vendetta, e griderà la vostra infamia eternämente fino a che non vi siate lavati nel sangue de' vostri tiranni. Non ch'io più i Cesari accusi, o i romani Pontefici, o tutti gli altri monarchi europei che ne' caduti secoli le fiamme fra noi della discordia attizzavano per accorrere quindi ad estinguerle, e pagarsi del proprio beneficio con la nostra schiavitù: ma piango e fremo vedove e serve mirando le belle città dov'io nudrito fui sì dolcemente, dove benché nato non-libero appresi liberi sensi, dove tante imprese suonano ancora di Eroi, dove sorgono tanti sepolcri di altissimi personaggi; e piango e fremo debellata veggendo dalle proprie sue armi e prostrata nel fango questa regina dell'universo.

E fu il nostro destino sì atroce che la religione cristiana speranza per noi di mansueti costumi e di comune concordia, ribellatasi dal suo Istitutore, pose regal sede in Italia, donde ora, al dir del Poeta, puttaneggiando co' regi, or popoli e regi soverchiando, veleni spargeva e indulgenze e roghi e maledizioni e pugnali, che di errori, di fiamme, di sangue per mille cinquecento anni contristarono il globo. E vendendo il cielo comprò, spartì e fe' tributaria la terra, e la dissensione, il tradimento, l'avarizia, tutte sue furie, più che le altre nazioni la misera Italia straziarono e la innondavano d'armi barbariche non pure in aiuto del sacerdozio e de' suoi partigiani, ma sovente dai loro stessi avversarii invocate; onde nel decimoterzo secolo I il gran padre Allighieri e quegli esuli magnanimi, vagando ravvolti nelle maestà delle loro disavventure, commetteano la patria alla spada degl'Imperadori germanici poich'altra via non restava a sottrarla alla tirannide fraudolenta de' Papi. Tua mercè intanto, o Liberatore, la Chiesa a' suoi principii rinasce, e tu dai templi della repubblica Cisalpina la mitra disgiungi dalla corona, e i sacerdoti riconduci alla pia vita dell'evangelo per cui, come Socrate e i filosofi dell'antichità, le morali virtù, la benevolenza e la pace istilleranno nel cuore de' cittadini. Nè ignudi saranno o spregiati, ma né opulenti ad un tempo né oziosi: e poiché l'Uomo Dio alle terrene leggi obbediva, alle terrene leggi i suoi discepoli obbediranno; leggi universali ed inesorabili, scudo e premio a tutte le virtù, e scure a tutti i delitti. Non si compiace il Padre degli uomini del fumo di umani olocausti, né di voti violenti; deporranno quindi le inquisizioni, i supplizii, le male arti con cui per, venalità e per orgoglio i preti cattolici tutti que' mortali gran tempo perseguitarono che in diverse are e con preci diverse, ma con puro animo il Padre degli uomini veneravano. I cieli mandano alle nazioni quei grandi e benefici cittadini a' quali la riconoscenza de' contemporanei erge statue e mausolei, e la devozione de' nipoti cantici ed altari consacra. Raggio sono della mente di Dio ottimo massimo; onde i Minossi, i Maometti e gli Odini divino culto ottenevano, e popolari supplicazioni. Non vorranno dunque i sacerdoti tôrci dal cuore la religione che co' tuoi beneficii tu per te ne ispirasti, né turbare le adorazioni e le feste solenni che noi dovremo un giorno a quegli Eroi, i quali col valore e con l'intelletto costumata e possente avran fatta questa repubblica.



IX

E tu Primo! perché quanta e quale prosperità non prometti all'Italia, tu che leggi, pace, gloria, fede e ricchezza in sì breve tempo alla Francia restituisti? Vieni! Tutte le colpe saranno alla tua presenza espiate; risanate tutte le piaghe; tutti i fausti presagi della repubblica nostra avverati; tutto insomma sarà pieno di te. Deh perché se la natura mente divina e sovrumane forze ti ha conceduto, perché non ti ha dato divina salma e vita immortale? Chi non vorrebbe LEGISLATORE, CAPITANO, PADRE, PRINCIPE PERPETUO Bonaparte? – Ma quali principi a Numa successero? Oh se dato mi fosse di diradare le tenebre che cuoprono le genti da tanti secoli trapassate, io vedrei forse i romani cercare nelle foreste a Numa sacre l'ombra di lui che dopo morte veneravano come loro iddio; ma cercarlo e nominarlo sommessamente, perocché la tirannide de' Tarquini, sebbene in tempi men guasti, non i frutti soltanto delle sue virtudi avea divorati, ma vietatane fin la memoria; che se il primo Bruto commetteva a' posteri la vendetta della castità di Lucrezia e della romana servitù, non pur l'opre di Numa ma né il reverendo suo nome volerebbe più per le bocche degli uomini: ogni alta cosa, ogni alto senso, ogni alto vestigio è sommerso dalla invida tirannia! Tu in tempo ancor sei. Lascia lo stato non agli uomini ma alle leggi; non alla generosità delle nazioni ma alle stesse sue forze: diversamente e alla ingratitudine degli uomini e al ludibrio della fortuna crederesti la stabilità di questa tua impresa. Starà la immortalità della tua fama anche quando nuovi delitti, nuovi imperi, nuove favelle terranno la terra, né più orma forse apparirà di noi; ma la riconoscenza a' tuoi beneficii non vivrà se non quanto vivranno la Cisalpina e la Francia. Provvedi dunque e alla nostra prosperità, e alla tua verace gloria ad un tempo. Tali sieno le leggi, tale il tuo esempio, tale il nostro vigore che niuno più ardisca dominarci dopo di te. E chi sarà mai successore degno di Bonaparte? E chi potrà non che emularti ma né seguirti pur da lontano? Immenso decorso di tempi la natura ed i casi frappongono pria di ornare la umana schiatta e di soccorrere alla sua sciagura, inviando dopo tante rivoluzioni e sì spietate carnificine un uomo che pari a te il furor della guerra ed i premi della conquista ad onesti istituendo con essi un possente e libero popolo. Anzi quanto più splendidi saranno i tuoi fatti tanto più la invidia di chi avrà il tuo sublime potere ma non l'animo tuo sublime, tenterà d'oscurarli o in eccidio o in lagrime convertendo la più generosa delle opere tue. Se dunque tu vivere nostro eternamente non puoi, sia suggello della nostra libertà il lasciarla inviolata tu stesso. E col popolo tutto io chiamo nostra libertà il non avere (tranne Bonaparte) niun magistrato che italiano non sia, niun capitano che non sia cittadino. Chiunque, e avesse pur fama d'incolpabile fra i mortali, ma che cittadino soggetto alle comuni leggi non fosse, ove per te di alcuna preponderanza, sotto nome di condottiero di eserciti o d'ambasciadore, rivestito venisse, tutti, gli ordini, tutte le armi, tutto lo stato insomma in brevissimi giorni sovvertirebbe. Imperciocché e a te fora ardua cosa l'antivedere l'avarizia e la superbia e tutti gli altri morbi che il cuore corrodono di chi comanda, e antivedutili sa risanarli; e più arduo ancora a chi per te governasse riuscirebbe il preservarsi dagli arbitrii de' suoi ministri, dalle brighe de' nostri malvagi concittadini, e molto più dalla rabbia delle parti; ché le parti là regnano dove uno, assoluto, universale non è il governo. Sapientemente Omero poeta sovrano, ne' cui libri assai morale e politica filosofia parmi riposta, simboleggiò la necessità onde i pastori de' popoli sono le più volte ingannati quando ci pinge Giove re degli uomini e degli iddii, il quale dopo avere col fatale giuramento decretato, niun de' celesti poter soccorrere a' Troiani o agli Achei, appena ei torse da Troia gli occhi tutto veggenti che Nettuno uscì dagli immensi suoi regni e si fe' di soppiatto e in onta a Giove aiutatore de' Greci. Or se, te vivo, vacillante sarebbe la libertà, qual mai v'ha speranza che ferma ritorni quando i destini ti rapiranno alla terra? No; non v'è libertà, non sostanze, non vita, non anima in qualunque paese e con qualunque più libera forma di governo, dove la nazionale indipendenza è in catene. Avrebbe maturata giammai Filippo Macedone la totale servitù della Grecia ch'egli infaticabilmente macchinava, se i Tebani noi creavano Anfizione? Sedea con tal nome nell'assemblea generale de' Greci dove spiando tutte le faccende, e distogliendo i buoni provvedimenti, e tutti i consigli e gli animi preoccupando, come Greco domò la Greca libertà, la quale né con i tesori né con le falangi non avea potuto atterrire come nemico.

Odi frattanto che l'Italia e tutte le genti te chiamano altamente PADRE DE' POPOLI, poiché non solo pacificasti l'Europa ma la repubblica nostra fondando più stabile hai fatta e più illustre la pace. Non che l'Impero, e la Inghilterra e quei ch'oltre Appennino tengon l'Italia e tutti i signori d'Europa non bramassero in proprio retaggio queste chiare contra de di messi fecondissime e d'uomini; ma perché il gius delle genti è fondato sul timore reciproco, niuno per sè potendo occuparle, né volendo che altri occupandole diventi più forte, tutti quindi alla nostra indipendenza congiurano. Ed è tuo dono se la Francia, la Liguria, la Elvezia e la Olanda avranno in questo popolo sempre un naturale confederato, e se tutti i regni in noi vedono uno stato che quanto sarà più possente tanto più potrà controbilanciare l'ambizione de' loro nemici. E però se la nostra libertà sarà base di pace; qualunque diritto, e sia pur minimo e lontano (ove quello della riconoscenza ne traggi), manterrà il governo francese sopra di noi, oh di qual sangue i nepoti vedranno spumanti l'Adige e il Po quando dileguatosi con te il terror del tuo nome risorgeranno le genti a contendersi i nostri campi e le nostre vesti, e l'esempio della Francia sarà incitamento e pretesto di future orride guerre! Effetti dunque saranno di tante tue mirabili gesta le desolazioni, i cadaveri, e le lagrime nostre? E la speranza della gloria italiana si risolverà nella certezza di nuovo ed irreparabile vituperio? Oh quanta notte si spargerebbe su la tua fama se un giorno il popolo cisalpino esclamasse! « Perché invece di destarci ad una burrascosa e passeggiera libertà, non ci hai abbandonati nella antica nostra sonnolenta servitù? »



X

MA a quali vani timori l'amor della patria mi tragge? se ora mentre ch'io parlo tu, o Grande, con la viva tua voce in faccia al cielo ed a tutti i viventi raffermi a' nostri concittadini convocati in Lione la indipendenza della repubblica Cisalpina. Anzi prima verace prova ne dai preponendo al governo quei personaggi ai quali dalle necessità dell'Italia, e dalle proprie e dalle popolari disavventure hanno ormai conosciuto che deliberata fortezza d'animo, austera probità e infaticabile a braccio sole guide sono di chi la somma delle cose maneggia. E quantunque alcuni tristi o imbecilli (dalla insolente fortuna lasciati impuniti e potenti, ed a' quali io so che amare riescono le mie parole) con sembianza di virtù e di meriti antichi mal tuo grado le pubbliche dignità invaderanno; parmi nondimeno che l'ingegno comporranno con le circostanze, suprema lor arte; e dove modo non cangino ben sovr'essi. starà l'occhio e la mano di quegli ottimi cittadini che per te liberi ed elettivi principi saran dello stato. E liberi veracemente; perocché l'esperienza degli anni recenti ne ha dimostrato che colui il quale è schiavo, se agli altri comanda, rade volte non è tiranno; e che mal si confanno i pensieri servili alla altezza di mente e al forte petto necessari per quel mortale che agli altri tutti presiede. Felici di questo popolo i reggitori perché senza le stragi cittadine ed il sangue primi nutrimenti, pur troppo! di tutte le repubbliche, possono scevri di delitti tentare la propria grandezza nella grandezza della loro patria! E felici assai più poiché rimettendo tu in essi il potere ed i mezzi di prosperarla, continua lena ed incitamento avran dal tuo esempio, onde non già con le adulazioni ma con le alte opere loro tesseran le tue laudi!

E tue laudi non sono e la prosperità, e l'abbondanza, e la pace, e i vigorosi costumi, e i paterni esempi, e' l'amor figliale, e la riverenza alla vecchiaia, e la domestica carità, e la santa amicizia, e la fede, e le virtù tutte che fino ad oggi sdegnavano d'albergare ne' petti nostri dal servaggio contaminati, e che ora con la libertà che trae da te suo principio vengono nostre consolatrici e compagne? Tue laudi non sono, non dirò le arti che prodighe vedo di egregii monumenti e alla crudeltà di Nerone e alla sovrumana virtù di Traiano, ma le vere lettere che a gloria dei padri de' popoli, e ad infamia de' tiranni propagano splendidamente la verità; e la storia che con maschio e schietto dire italiano consegna a quei che verranno lo specchio de' nostri vizi e la gratitudine a' tuoi beneficii; e questi miei liberi sensi ch'io non avrei osato tacere e perché a te favellava e perché favellava in nome del popolo il quale con universale voce me li dettò, e la di cui maestà avrei offeso tacendoli?

A che tesso io dunque encomii e sentenze? E chi de' mortali può leggere negli arcani della tua mente, e predire gl'istituti e gli ardimenti con cui t'accingerai forse a rivestire di nuove opinioni il tuo secolo, e le genti di nuova vita, ed un'altra epoca aggiungere alle solenni rivoluzioni del globo! Remoti viaggi, diversi costumi, miracolose guerre, infiniti generi d'uomini,. lezioni d'antiche storie ed esperimento delle presenti, supremo potere, veneranda fama, immota fortuna, e con altissimo intelletto semi di universa sapienza ti hanno conceduto le sorti: e se dalle cose degli antichi fondatori de' popoli che pari ebbero circostanze alle tue, e tutti le sembianze sdegnarono de' loro tempi; se dalla tua sublime anima, e dalla prontezza, dalla forza, dalla magnificenza di tutti i tuoi fatti; se dalla decrepitezza in cui il presente mondo vacilla denno argomentare i sapienti quale e quanto sarai; io odo vaticinare: RINATO per te l'universo; né il dì forse è lontano.



NOTA

Questa orazione fu compiuta prima della Costituzione Italiana. Avrebbe d'uopo d'assai schiarimenti, ma né i tempi il concedono, né mi sembrano cosa da note ma da annali. E forse vi ha tale che li sta scrivendo non solo per mandare a' posteri i documenti delle nostre sciagure, ma per mostrare al mondo che le abbiamo sostenute, non dissimulate.



EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Ugo Foscolo - Opere - Tomo II", edizione diretta da Franco Gavazzeni, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1981







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